Il Nietzsche del XX secolo non è stato Foucault o Deleuze, ma
un oscuro alto funzionario della pubblica amministrazione tedesca,
approdato in pochi anni e un po’ incidentalmente, dopo un soggiorno di
studi alla Harvard University, alla Facoltà di Sociologia
dell’Università di Bielefeld, nella Renania-Vestfalia settentrionale,
nel 1966, da dove non si sarebbe mai allontanato, tranne che per una
breve parentesi a Francoforte, come supplente di Adorno. Il suo nome è:
Niklas Luhmann. Nacque a Lüneburg, vicino ad Amburgo, nel 1927, e
scomparve il 6 novembre del 1998, nella sua casa Oerlinghausen, vicino a
Bielefeld. Lo stile asettico e ridondante, nonché il lessico incline ai
tecnicismi, lo hanno condannato ad avere meno popolarità di quanto
meritasse, ma il suo quadro teorico è stato avvertito come
imprescindibile anche da quegli avversari storici, come Jürgen Habermas,
che lo hanno criticato, accettandone però il perimetro concettuale
nuovo e la potenza descrittiva in esso contenuta. Se Nietzsche vedeva
“cose umane, troppo umane”, cioè la vita con le sue pulsioni e i suoi
bisogni, dove noi vediamo ideali, tanto da definire la religione, la
morale, la metafisica (e la scienza stessa, che si apprestava a
raccoglierne l’eredità) delle “bugie vitali” per arginare la precarietà
dell’esistenza, mostrando il volto nudo e sotterraneo della volontà di
vita o di potenza, il sociologo tedesco rompe con l’idea corrente di una
società fatta di esseri umani e di relazioni tra gli esseri umani, per
giunta capace di controllare se stessa, con un “alto” o un “centro”
presenti al suo interno.
E la sostituisce con l’idea di sistema sociale costituito da
una pluralità di sistemi funzionali (l’economia, la politica, la
religione, la scienza, l’educazione, il diritto, i mass media, l’arte,
la morale, l’intimità), ciascuno dei quali costruisce la sua identità
mediante la differenza con gli altri, che divengono il suo ambiente,
e in grado solo di evolvere ma non di governare se stesso. Se, dunque,
l’uno annuncia la morte di Dio, l’altro annuncia la morte dell’uomo, in
un modo più radicale degli strutturalisti come Foucault o Lévi-Strauss.
La società non scaturisce più da un contratto o da una costruzione degli
uomini intesi come agenti autonomi e razionali, come avviene nella
narrazione umanista o illuminista. Né tantomeno è riplasmata
continuamente dal processo democratico di formazione discorsiva della
volontà generale, sia perché, in quest’ultimo caso, si tratta di
un’operazione (le elezioni o le decisioni parlamentari) interna a un
sistema parziale della società, quello politico, sia perché non sono le
persone che comunicano, ma i sistemi sociali. E qui, arriviamo, subito,
al nocciolo più scandaloso della teoria di Luhmann e stridente con il
senso comune.
CONTINUA con info link su doppiozero
https://www.doppiozero.com/materiali/niklas-luhmann-solo-la-comunicazione-puo-comunicare
No comments:
Post a Comment